Aria e acqua

carpentiere Staff ha scritto 6 anni fa

9 settembre
La luce tenue dell’unica lampadina bastava appena ad illuminare la piccola mansarda ma faceva sembrare più caldo il legno delle travi del soffitto. Strappò da una vecchia scatola un pezzo di cartone e lo sostituì a quello ormai zuppo che tappava il riquadro della finestra dove il vetro era rotto. Si avvolse ancora più stretto nella coperta di lana e si distese sul vecchio materasso, spense la luce e cercò di addormentarsi al più presto possibile per evitare di sentire i crampi allo stomaco che ogni sera gli rendevano difficile il riposo.
Con gli occhi chiusi riusciva a sentire meglio i suoni che venivano dall’esterno dell’edificio: la sirena di un’auto della polizia, i latrati di un cane lontano, il picchiettare insistente della pioggia sul vetro e il vento gelido che penetrava dalle innumerevoli fessure di porte e finestre.
Ricordò quando sua madre gli rimboccava le coperte assicurandole sotto al materasso per evitare che durante la notte prendesse freddo. A lui non piaceva, si sentiva costretto, faticava a muoversi e non appena la madre usciva dalla stanza se ne liberava. Solo ora si rendeva conto dell’affetto racchiuso in quel piccolo gesto. Dell’affetto negli occhi di lei mentre gli carezzava la testa e a volte distrattamente scendeva giù fin sulla guancia e sul collo. Ricordò bene come quel affetto si tramutasse involontariamente in ribrezzo. Si ricordò del dolore che gli provocava quel repentino mutamento di espressione nel volto di sua madre appena lui per un solo attimo rilassava le branchie per respirare.
Continuò ad ascoltare i suoni della notte che lo facevano sentire piacevolmente lontano da tutto e si addormentò.

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15 settembre
Quando per la prima volta me lo trovai davanti reagii piuttosto male: iniziai ad urlare e cercai qualcosa per colpirlo. Lui scappò subito e non lo rividi per alcuni giorni. Ebbi modo di ripensare a quell’incontro e mi resi conto di qualcosa che inizialmente mi era sfuggito: il suo sguardo. Era come assente, come se non vedesse quello che stava succedendo o non se ne curasse il che era in forte contrasto con quello che stava avvenendo la mia curiosità era prepotentemente alimentata da questo particolare.
Cinque giorni dopo lo rividi davanti al negozio di bici, era buio e diluviava per cui il suo aspetto non era molto diverso da quello di un qualsiasi altro ragazzo della nostra età.
Mi avvicinai, appena si accorse di me fece per andarsene ma lo chiamai e gli chiesi se potevo offrirgli un passaggio fino a casa visto che non aveva ne ombrello ne un impermeabile. Rispose con un NO secco e continuò a camminare lentamente sotto la pioggia battente. Ero sempre più incuriosita e decisi di aspettarlo davanti casa mia per vederlo rientrare.
Aspettai per più di 2 ore ma non rientrò e non lo vidi per alcuni giorni finché una bella e tiepida mattina non riapparve.

Stava camminando tranquillo quando una macchina puntò i fari proprio sulla sua faccia, mise una mano davanti all’occhio per proteggerlo dalla luce abbagliante stando bene attento a non allargare le dita. Era la pazza che stava per aggredirlo qualche giorno prima, allungò il passo ma la vide affacciarsi dal finestrino e muovere le labbra. Rispose di NO, non importava cosa gli stesse dicendo. Continuò a camminare verso la centrale elettrica, aveva voglia di togliersi quegli stracci di dosso ma la presenza di quella seccatrice glielo impediva. Godeva dello scorrere delle gocce sulla pelle ma gli dava fastidio la stoffa che si appiccicava sulla schiena, sulle cosce, voleva liberare finalmente i piedi da quelle trappole che sua madre lo costringeva a portare.
Quando finalmente arrivò vicino al canale della centrale si tolse le scarpe e distese la pelle tra le dita massaggiandola poi si immerse nell’acqua nera come la notte e sparì lasciando dietro di se solo un piccolo mulinello nell’acqua che si esaurì dopo qualche istante.

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